GIOVANI VS ANZIANI. La rivalità generazionale del Coronavirus

“SOGGETTI A RISCHIO”.

Quante volte abbiamo sentito questo termine da marzo 2020 ad oggi?

Il bombardamento di informazioni di cui siamo stati vittime, che ha cavalcato l’onda della notizia più succosa del 2020 e del 2021, il Coronavirus, non ha fatto altro che aumentare l’ansia, la paura, la rabbia, la disinformazione e il gap generazionale tra giovani e anziani.

Caso Clinico: mi chiede aiuto Sara 20 anni (nome ed età di fantasia), il cui nonno anziano è risultato positivo al Covid. Alla notizia la famiglia di Sara la addita come responsabile di un possibile contagio dell’anziano di casa, in quanto appartenente alla “categoria giovani”.

Sara è, però, una ragazza coscienziosa, scrupolosa e attenta alle misure di sicurezza, soprattutto consapevole del rischio che un contagio avrebbe portato ai membri più anziani della famiglia. La caccia alle streghe che avviene nella sua famiglia la ferisce molto e in preda ai sensi di colpa corre a farsi un tampone che risulta negativo a più riprese, la delusione e l’amarezza della mancanza di fiducia della sua famiglia però continua a portarsele dietro.

Ma perché questo accade?

Seguendo il dibattito italiano sul Covid-19 mi sono sorpresa di notare come l’argomento “giovani” sia emerso principalmente in chiave critica, focalizzandosi su aspetti come le “movide”, gli aperitivi senza mascherina, e su di una mancanza di rispetto generale da parte dei giovani verso le regole di distanziamento sociale.

Il risultato è il dipinto di un’Italia spaccata in due tra terza età che combatte la pandemia responsabilmente e giovani che vanificano questi sforzi per meri piaceri effimeri.

Questa visione è negativa, intanto perché non supportata dai  dati, al telegiornale è rarissimo sentire le percentuali di contagio, di decessi e dei pazienti in terapia intensiva divise per classi di età; ma si sentono principalmente le percentuali dai 65 anni in su.

Solo episodicamente si parla di giovani ammalati, in tv sembrano tutti asintomatici, questo è controproducente perché deresponsabilizza i giovani, li fa sentire immortali ed immuni, cosa che in realtà non sono.

E’ giusto che sappiano i dati reali che li riguardano, le percentuali di contagi, che facciano i conti lucidamente con le loro responsabilità familiari e la loro vulnerabilità.

In più si sottovalutano le difficoltà riscontrate dai giovani in questo periodo, il coronavirus e il lockdown e tutte le contromisure adottate hanno avuto un impatto molto più duro per i giovani rispetto alla categoria della terza età con più risorse e ricchezza personali. Un giovane che si trova ad affrontare tutto questo ha meno esperienze e resilienza rispetto ai propri nonni che già hanno affrontato nella loro vita le situazioni più disparate.

Ce lo dimostrano i dati di un sondaggio condotto da Belot e colleghi tra il 15 e il 23 aprile 2020 su più di 6000 individui intervistati in 6 paesi (circa 1000 individui per paese) e pubblicato di recente sulla rivista Covid Economics. In tutti e sei i paesi del campione, inclusa l’Italia, il risultato è lo stesso: i giovani hanno avvisato effetti psicologici negativi durante il lockdown, come mancanza di sonno, solitudine, ansia e stress, conflitti con amici/familiari/vicini e noia, maggiormente rispetto alle generazioni più anziane.

Non si parla delle difficoltà che la didattica a distanza (DaD) può portare, delle lacune formative, degli studenti passati nonostante non fossero idonei, degli esami di maturità evitati, degli universitari che entrano ora nel mondo del lavoro e non trovano nessun lavoro.

 

Non si parla dei danni a lungo termine che tutte queste limitazioni a livello di prove esistenziali, di resilienza, di formazione porti nelle future generazioni.
Sui media i giovani vengono trattati come oggetti, da biasimare o criticare, mai li si ascolta come soggetti, come hanno diritto di essere.

Tutto questo alimenta ancora di più il divario e la rivalità tra queste due generazioni.

Da un lato la categoria a rischio, dipinta come debole e fragile, che deve essere protetta dall’altro quella dei giovani, forti e resistenti, e scapestrati.

Entrambe le categorie sono ridicolizzate a macchiette delle stesse, sono diventati luoghi comuni.

Con tutto questo discorso non voglio togliere valore alle difficoltà affrontate dalla terza età durante il lockdown e questo difficile periodo, il sentirsi più soli, fragili, in pericolo, lontano da figli e nipoti, senza sapere come comportarsi, divisi tra la propria sopravvivenza e il benessere psicosociale, ma porre uno spunto di riflessione.

 

Anche i membri della “categoria giovani” durante il lockdown e questo difficile periodo, si sono sentiti soli, fragili, pericolosi, lontano dai familiari e agli amici, senza sapere come comportarsi, divisi tra il voler stare con i propri cari e la paura di metterli a rischio.

Il virus e le strategie anticontagio hanno portato difficoltà e disagio non solo alla terza età, ma per tutte le età.
Se siamo davvero in una guerra, non dobbiamo combatterci tra noi, ma unire le forze contro il virus, perché uniti possiamo solo essere più forti.

Fonti:

  • Michèle Belot, Syngjoo Choi, Julian C. Jamison, Nicholas W. Papageorge, Egon Tripodi, Eline van den Broek-Altenburg (2020). “Six-Country Survey on COVID-192”.
  • Jung Ki Kim, Eileen M. Crimmins. How does age affect personal and social reactions to COVID-19: Results from the national Understanding America Study. PLOS ONE, 2020; 15 (11): e0241950 DOI: 10.1371/journal.pone.0241950.
  • World Health Organization (WHO)- COVID-19 Dashboard- Coronavirus Disease.

Dott.ssa Simona Turchetti

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